Quello che tanti chiamano ora il primo Starfield a quanto pare è italiano. Lo potete giocare ma il vero mistero è il suo developer.
Starfield. Il gioco realizzato da Bethesda che doveva fare a pezzi tutti i concorrenti e che invece piace ma non così tanto. La grande esperienza nello spazio cosmico in cui si passa da una camminata all’ombra delle stelle a una corsa tra i pianeti (cercando di mantenere tutti con la testa in alto e i piedi in basso). Il gioco che ci ha fatto scoprire la vastità del cosmo.
Un gioco che tanto innovativo non è, forse. Potrebbe avere infatti almeno un antenato, risalente ai tempi di quando i pixel sullo schermo erano grandi come una mattonella, realizzato da un developer italiano avvolto nel mistero come la più classica eminenza grigia dei film di fantascienza.
Sfuggente e impossibile da trovare l’autore. Disponibile per la prima volta in assoluto online il suo gioco che possiamo chiamare lo Starfield Italiano.
Nel 1984 un team di sviluppo dal nome che non dice niente a nessuno adesso, Electronic Future World, pubblica Avventura 2 realizzato da Alessandro Castellari. E di Castellari non si sa nulla neanche adesso e neppure il lavoro sempre egregio e certosino di Andrea Pachetti che cura Quattro Bit (e vi consigliamo davvero di iscrivervi alla sua newsletter perchè è quanto di più bello leggerete sulla storia dei videogiochi in Italia) è riuscito a darci qualche informazione in più.
Quello che c’è, adesso, è però il gioco. Disponibile per emulatori di Commodore 64. Un gioco di ruolo ambientato nello spazio, e da qui il fatto che ci piace un po’ chiamarlo il nostro Starfield, che seguendo il ragionamento di Pachetti sarebbe ispirato a sua volta a un altro titolo, VII Legio, un titolo che per stessa volontà di chi lo ha creato (Marco Donadoni) è definito “role playing“. L’analisi di Pachetti è dettagliata e mette a confronto quello che c’è dentro VII Legio e che sembra tradursi nell’esperienza di ruolo dentro Avventura 2.
E a noi, ora che sappiamo che questo gioco esiste, viene da fare una domanda: ma come facevamo? Come facevamo all’epoca a comprare a scatola chiusa un gioco sapendo anche che quello che c’era sulla copertina della cassetta o sul volumino striminzito che la accompagnava non era niente di quello che c’era poi nel gioco? Come facevamo a fidarci e a spendere soldi senza sapere chi era il director, chi il lead designer, chi il compositore della colonna sonora e senza neanche sapere cosa ne pensava il resto del mondo? Eppure lo facevamo. E anche se ora è bello sapere che si può fare un acquisto più informato a volte sarebbe il caso di chiudere tutto e comprare ancora una volta a sentimento.
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