Google e Facebook spargono disinformazione? Un nuovo report svela alcune pratiche molto pericolose con la scusa dei contenuti sensibili.
Quando si sta sui social la prima cosa che si dovrebbe ricordare è che quello che vedete potrebbe non essere la verità e anzi il più delle volte non lo è.
Perché quello che viene filtrato attraverso i social o anche attraverso i risultati dei motori di ricerca è una parte della verità. Di solito la parte di verità di chi paga (di più). Oppure è la parte di verità che supera gli strani sistemi di controllo per i contenuti messi in atto dalle stesse piattaforme.
Un nuovo report condotto da Center for Countering Digital Hate (CCDH) e MSI Reproductive Choices dimostra come alcuni argomenti facciano fatica a raggiungere il pubblico che invece avrebbero bisogno di incontrare.
Su Google e dentro Meta di questo non si può parlare
Quando il tema è la salute degli esseri umani, la conoscenza e l’informazione sono di vitale importanza. E non è un modo di dire. Ma secondo il report pubblicato da Center for Countering Digital Hate e MSI è venuto fuori che Meta, quindi la società madre di Facebook e Instagram e Thread, e in alcuni casi anche Google, mettono i bastoni tra le ruote alla diffusione delle informazioni relative ai sistemi di controllo delle nascite che gli esseri umani possono aver bisogno di conoscere.
E il report, oltre a evidenziare come le informazioni riguardo l’aborto siano state spesso censurate o oscurate, evidenzia anche come Meta tragga profitto invece da spazi pubblicitari venduti a enti e società varie che spargono qualcosa di molto simile al terrorismo psicologico. In alcune parti del mondo, MSI si è per esempio vista rimuovere alcune comunicazioni attraverso gli spazi ad proprio riguardo l’aborto in diversi Paesi africani e asiatici mentre espressioni come “opzioni per la gravidanza” non vengono accettate dagli spazi pubblicitari offerti da Google.
I rappresentanti delle due società tirate in causa hanno chiarito che semplicemente se qualcosa viene bloccato è perché va contro le policy di pubblicazione. Eppure dal report emergerebbe come invece, per esempio, non ci sarebbe altrettanta attenzione nel bloccare le pubblicità anti-abortiste e la disinformazione sia in Messico sia in Ghana, dove notizie false riguardo l’aborto inserite in spazi pubblicitari sono state visualizzate oltre 3 milioni di volte.
Ciò su cui il report vuole porre l’accento è quindi il fatto che lì dove le persone si incontrano e si scambiano informazioni e le ricercano dovrebbero essere garantiti i diritti fondamentali degli esseri umani, tra questi anche il diritto ad essere informati correttamente. Anche perché, soprattutto in alcune parti del mondo dove il controllo della propria vita privata è ostacolato ancora dalla legge, l’informazione è proprio il primo passo per operare scelte più informate. La disinformazione è letale e quando parla a proposito di salute lo diventa in tutti i sensi.