Esistono app in grado di controllare l’account WhatsApp di un’altra persona, ma cosa si rischia realmente attuando questa pratica?
La nuova era della comunicazione è stata in un certo senso segnata dall’arrivo di piattaforme come WhatsApp. Se dapprima per inviare messaggi erano disponibili solamente gli SMS, che fornivano esclusivamente messaggi di testo (ed eventuali MMS per i contenuti media), ad oggi la possibilità di vedere se una persona è online, il suo ultimo accesso e la visualizzazione del messaggio, hanno reso in qualche modo la comunicazione più aperta e meno limitata. Tuttavia, questo ha dato vita anche ad un sentimento di maggior controllo per alcune persone.
Spiegandoci meglio, le informazioni presenti su quest’app forniscono nozioni importanti all’altra persona, seppur nei limiti della privacy e con tanto di eventuali modifiche del caso. Sebbene si possano togliere alcune informazioni come l’ultimo accesso e il visualizzato, WhatsApp rimane un luogo allettante per chi nutre sospetti verso l’altro, per esempio un partner.
Di modi per controllare qualcuno ce ne sono molteplici, ma lo smartphone rimane lo strumento più efficace per questo scopo. Si sono diffuse negli anni diverse app che permettono di spiare il cellulare di un’altra persona. Ovviamente, di puro c’è davvero poco in questi programmi, ma una domanda sorge spontanea: cosa succede qualora si decidesse di spiare WhatsApp con l’aiuto di queste applicazioni? Vi è un limite sottile per andare incontro a problemi legali.
Poniamo l’ipotesi che se si ha un partner in cui si ripone poca fiducia, o più banalmente, uno dei due sia più fragile emotivamente e abbia il timore di essere tradito. Da qui nasce il desiderio di avere maggior controllo sull’altro. Se, per esempio, si decidesse di sbirciare i messaggi dell’altro, allora non si starebbe commettendo un reato.
Il caso cambia se, per controllare questa persona, si utilizzano delle app che garantiscono di poter spiare il cellulare di qualcuno in modo legale. In realtà, di sicuro c’è ben poco, visto che questi programmi si basano su sistemi che violano la privacy, e dunque, penalmente perseguibili.
Nel contesto italiano, la legge prevede normative specifiche contro la detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e mezzi atti all’accesso a sistemi informatici o telematici. L’art. 615 del Codice Penale stabilisce che chiunque, con l’intento di trarne profitto o causare danni, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi per accedere a un sistema informatico protetto, è soggetto a reclusione fino a un anno e multe fino a 5.164 euro.
Se le circostanze sono particolarmente gravi, la pena può essere incrementata. Ad esempio, se si verificano intercettazioni illecite di comunicazioni informatiche o telematiche, l’art. 615 prevede una multa aumentata da 1 a 3 anni e una multa da 5.164 a 10.329 euro.
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